giovedì 4 dicembre 2014

La politica del nonsenso

... di certo non viene inventata oggi.

affonda le proprie radici, per ciò che riguarda la cultura occidentale, nei dettami della religione cristiana allorché affermatasi attraverso l'apostolato in epoca romana.


L'esclusività della posizione sociale garantiva a chi esercitava il potere, un privilegio culturale e patrimoniale da renderlo inamovibile. Ad un tratto, al punto di rottura tra privilegi e produzione della ricchezza, irrompe la democrazia liberale.

Le persone o meglio alcuni fra loro, iniziano a pensare che l'unione possa realmente fare la forza.

Nel giro di un paio di secoli le rivolte diventano popolari, nascono le repubbliche rivoluzionarie, nasce il socialistmo, il comunismo, il marxismo, nascono i figli dei fiori che però appassiscono in fretta, almeno qui da noi.

Parallelamente, nelle gerarchie aristocratiche e borghesi si cerca di arginare l'ascesa di queste idee democratiche.
Si contengono dapprima con la repressione interna, poi con la guerra, poi con l'embargo e si sconfiggono semplicemente con il consumismo.

Ad un tratto, nel continuum spazio temporale, per niente continuo come sappiamo, arriva Albert Einstein a cui viene spesso attribuito un aforisma: «Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi.» Il quando è quantisticamente irrilevante, ma resta il fatto che nessuno lo ascolta.

La politica si rende democratica. Lo spartiacque della Seconda guerra mondiale lascia spazio alla militanza, al potere popolare, alla regressione apparente degli aristocratici e dei borghesi.

Il novecento appare come il secolo del popolo.

Chi deteneva il potere ai tempi delle rivoluzioni liberali si limita a staccare i biglietti e godere dello spettacolo.

La Politica, la Legge e l'Economia diventano il palcoscenico preferito dai rampolli delle famiglie bene, quasi come furono la carriera militare e quella religiosa nel medioevo.
I figli dei notabili occupano posti di rilievo nell'imprenditoria borghese e nella gestione della res publica; da lì controllano gli eccessi della passione popolare.

Si afferma così la politica del nonsenso.

Più soldi finiscono nelle tasche dei ceti inferiori, maggiore è il volume di denaro che ritorna all'origine. Più denaro si produce per assicurare il benessere della popolazione, più denaro si spende per comprare beni e servizi, per assicurarsi privilegi.
L'unica opportunità è svettare, vincere, superare gli altri e come un salmone che risale la corrente consumarsi fino alla morte nel tentativo di emergere.

Il "ceto privilegiato" smette di contenere i privilegi degli "inferiori", cresce il benessere popolare, ma allo stesso tempo cresce l'avidità di privilegi.
Da questo punto di vista i conflitti di classe del novecento sono stati una palestra interessante, risolta soltanto con la globalizzazione. Il nazionalismo che forniva grandi opportunità economiche nel XIX secolo è sublimato in globalizzazione.
La concorrenza globale tra gli imprenditori non è stata da meno del disaccordo, o meglio del disinteresse, di chi avrebbe bisogno di aggregarsi per contare qualcosa e invece è rimasto a guardare.

Ironicamente, l'allargamento della piattaforma comunicativa non ha fatto altro che separare quei gruppi di persone che avrebbero avuto maggior interesse ad unirsi.

E ancora una volta la democrazia si è dimostrata un sistema fallace.

Così, mentre la cultura si trasforma grazie alla rivoluzione digitale, le persone restano ancorate alla politica nel nonsenso.
Intrappolate in infiniti livelli di associazionismo e rappresentanza che filtrano le opportunità, che rallentano l'ascesa, che complicano ciò che in fondo sarebbe semplice.

Paghiamo per votare alle primarie di partito, per eleggere un candidato che è stato selezionato da una élite intellettuale per essere corrotto nel migliore dei casi da imprenditori d'élite, nel peggiore da criminali.
Votiamo per contare qualcosa, nell'idea che l'unione faccia la forza e produca un risultato positivo e personale per il singolo.

Quanto ci vorrà ancora perché la teoria dei giochi di Nash possa essere compresa da tutti e ci convinca che l'unione fa veramente la forza soltanto se pensiamo anche agli altri?

Nel frattempo godiamoci politici posticci, che ripetono ossessivamente ciò che vogliono far diventare reale, che ci impongono il mantra della trasparenza e della legalità per poi propinarci sempre il solito gioco delle tre carte, che tutti conosciamo ma a cui non sappiamo resistere.

Godiamoci la stupidità del nonsenso, del resto se il "salmone" conoscesse il senso della vita non si affannerebbe poi molto sulla corda tesagli da Nietzsche.

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