giovedì 3 aprile 2014

L'etica del domani

Recentemente sono rimasto folgorato da queste parole di Freud:

«Ed è vero che l'etica, com'è facile riconoscere, tocca il punto dolente di ogni civiltà. Perciò va intesa come un esperimento terapeutico, come lo sforzo di raggiungere attraverso un imperativo del Super-io ciò che finora non fu raggiunto attraverso nessun altra opera civile.»

Sono il compendio di una riflessione interiore che mi arrovella da anni.

L'etica del passato, intesa come compendio di valori morali, è ancora valida? Sarà valida domani?
Sono sempre valide le riflessioni deontologiche, o è corretto riferire tutto ad un contesto pragmatico consequenziale che si limiti a valutare i risultati?

Dobbiamo definire regole in cui agire o limitarci alle decisioni del momento?

Forse che la società odierna stia semplicemente ridefinendo i presupposti su cui si fonda la propria etica e questo periodo di vacatio morale getti tutti nello sconcerto? L'accelerazione fornita dall'informatica a tale cambiamento, come peraltro ad ogni aspetto della vita moderna, è centrale. Il cambiamento sociale è ormai infra-generazionale. Il divario non è più tra genitori e figli, bensì tra il nostro essere di ieri e quello del giorno dopo.

Noi stessi mutiamo i valori etici più volte nel corso della vita. Siamo troppo veloci per essere coerenti.

E così il nostro stesso agire convulso e disordinato stritola la certezza del diritto e concetti come quello di nazione, distrugge i rapporti sociali con la stessa facilità con cui li fa nascere, ci impedisce di dedicare la nostra vita ad un obiettivo o un ideale, poiché sappiamo che diverrà obsoleto dopo poco tempo.

In un mondo in così veloce mutazione è sempre più difficile mantenere l'attenzione su un disegno di lungo periodo, ma così facendo tendiamo a distruggere ciò che stavamo costruendo un attimo prima.

Costruiamo castelli di carte senza un'apparente ragione e innalziamo monumenti alla vacuità nell'attimo in cui decidiamo di distruggerli e ricominciare.
La Metafisica ha tolto senso alla vita, la precarietà della condizione umana ha svalutato la collettività, privato di interesse alla continuità. Quella continuità che una volta si sarebbe trasformata in blasone, in tribù, in nazionalismo, oggi è niente; è un peso da portare.

Ripenso così all'immaginario freudiano in cui l'etica è esperimento di auto-miglioramento, un tentativo che, un secolo dopo, possiamo definire clamorosamente fallito, trasformato in un progetto di demolizione sociale e di riduzione alla barbarie.
Una mutazione prevista anni fa da Alessandro Baricco che la definisce «uno smantellamento sistemico di tutto l'armamentario mentale ereditato della cultura ottocentesca, romantica e borghese». Ciò che Baricco non aveva previsto era però il soggetto della mutazione. L'impressione che ne ebbe l'autore fu quella di un'invasione, di un conflitto sociale, mentre in realtà i nuovi valori che ancora non si sono chiariti sono già qui, sono intrisi nel tessuto sociale e si stanno definendo, ci stanno ridefinendo poiché siamo parte della società in cambiamento.

E quelli che pensano ancora all'ideale, alla giustizia in quanto principio, alla società quale paradiso collettivo, sono gli ultimi dei romantici. Siamo gli irriducibili amanti di un insieme di valori che si stanno estinguendo in attesa dell'etica del domani.

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